Messa in Cena Domini
Fratelli e sorelle carissimi, cari vescovi e sacerdoti,
il Signore vi dia pace!
Sono lieto di ritrovarmi con voi oggi per questa importante celebrazione. Saluto in particolare i sacerdoti della nostra diocesi e quanti si sono uniti a noi in questo giorno così significativo. La celebrazione della Cena del Signore all'inizio del Triduo Pasquale è un momento opportuno per riflettere su alcuni elementi fondamentali che ci edificano come popolo di Dio, come Chiesa di Cristo.
Prima di tutto, vorrei parlare della dimensione sacramentale della Chiesa. Il documento sulla Chiesa, Lumen gentium, del Vaticano II afferma: la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano (LG 1). In altre parole, Cristo ha affidato alla Chiesa la missione di santificare tutti gli uomini e di condurli alla salvezza.
La celebrazione di questa mattina non è solo un ricordo dell'Ultima Cena e del sacerdozio ministeriale, ma ci parla anche del sacerdozio comune radicato nel battesimo. La benedizione degli oli santi ci ricorda questa dimensione sacramentale della Chiesa. Dalla culla alla tomba siamo accompagnati dalla Chiesa e dalla sua missione santificatrice per essere salvati attraverso questi segni di grazia. Portando con noi gli oli santi alle nostre parrocchie e comunità, continuiamo la missione di Gesù, profeta, sacerdote e re, per aiutare a edificare la Chiesa attraverso la Parola, i Sacramenti e il servizio dell'amore a tutti. Invito tutti voi a ricordare questa importante dimensione della nostra vita cristiana: i sacramenti non sono una sorta di formula magica di santificazione, ma piuttosto un segno della forza risanatrice di Cristo, che deve però passare anche attraverso l'annuncio della Parola e la testimonianza della vita. Possa la nostra Chiesa locale crescere in questa consapevolezza, affinché la Parola arrivi a tutti i livelli della nostra società, ai nostri figli, ai nostri giovani, alle nostre coppie sposate, alle nostre famiglie, ai nostri membri anziani e malati della comunità. Possano i nostri pastori, a cominciare da me stesso, essere testimonianza viva e credibile della nostra unione con Cristo! In questo modo i sacramenti diventeranno veramente un momento di incontro con Cristo e un'occasione di santificazione e guarigione spirituale.
Il secondo tema che ci ha fatto riunire qui oggi riguarda il nostro sacerdozio ministeriale, e di conseguenza la nostra vocazione di ministri del sacramento dell'Eucaristia, che Cristo istituì la sera stessa in cui sarebbe stato tradito. Per questo vorrei rivolgere parte della mia omelia ai miei confratelli sacerdoti qui presenti.
Cari fratelli, durante questa celebrazione saremo invitati a rinnovare le nostre promesse sacerdotali. Stiamo facendo questa azione pubblicamente, di fronte al popolo di Dio. Non stiamo rinnovando alcune promesse private che ci riguardano solo come sacerdoti, o come presbiterio raccolto attorno al proprio vescovo diocesano. Questa dimensione pubblica ed ecclesiale delle nostre promesse sacerdotali è molto importante. Se io, come vescovo, penso al mio ruolo di pastore del popolo di Dio in questa Chiesa locale, unito a voi sacerdoti, come primi collaboratori del mio ministero, non posso dimenticare che stiamo tutti agendo davanti al popolo di Dio affidato alla nostra cura pastorale. Ecco perché il rito del rinnovamento delle nostre promesse sacerdotali include un invito al popolo di Dio a pregare per il vescovo e per i sacerdoti. Abbiamo bisogno anche di sostegno nel nostro ministero, e dobbiamo anche essere abbastanza umili da lasciarci confrontare dai nostri fedeli, che hanno diritto di vedere in noi testimoni coraggiosi del Vangelo e segni di una vita autentica che parla da sé, e non solo attraverso parole vuote o false apparenze. Come sacerdoti, infatti, ci occupiamo di tante cose e corriamo il rischio di perdere l’essenza di ciò che realmente è la nostra vocazione. Come pastori di anime crediamo di essere i salvatori e ci dimentichiamo di essere salvati. Pensiamo di essere dottori e maestri del sapere, ma quante volte veniamo colpiti dalla sapienza della gente semplice!
E questo ci porta alla terza e ultima dimensione della celebrazione odierna, cioè quella del comandamento dell'amore e del servizio nella Chiesa. La liturgia di questa Messa della Cena del Signore proclama il Vangelo della lavanda dei piedi degli Apostoli e il comandamento dell’amore. In verità, questa azione di Gesù è il vero significato di ciò che è l'Eucaristia, cioè il sacramento del servizio amorevole, in obbedienza al Padre, fino alla morte di croce. Gesù diventa il diacono dell'umanità. Serve con umiltà e amore e desidera che i suoi discepoli facciano lo stesso.
Il momento centrale che attira la nostra attenzione in questo brano del Vangelo di Giovanni è senza dubbio il dialogo tra Gesù e Pietro. Davanti all’umiliazione del Maestro, che si piega a lavare i piedi dei discepoli, Pietro non può che rifiutare, non può permettere che questo gesto si compia anche per lui. Ed è proprio qui che Gesù gli conferma che senza l’accettazione di questo gesto, l’apostolo pescatore non avrà un posto nel Regno. Il tradimento di Pietro non ostacolerà la sua partecipazione al Regno, ma il rifiuto a lasciarsi lavare i piedi, quello sì! Lasciarsi lavare i piedi significa accettare un Dio che serve, esporsi al mondo senza paura e non temere il giudizio altrui, lasciarsi amare.
In questa ultima sua cena, Gesù sa della debolezza e dei limiti dei suoi discepoli, come conosce le povertà di tutti noi sacerdoti, continuatori del suo amorevole gesto. Ma questa consapevolezza non ha fermato l’amore di Gesù. Anche noi, a volte, come i discepoli e come Pietro, sembriamo rifiutare la grazia di Dio, non accettiamo di lasciarci lavare i piedi da Gesù. Ma di una cosa possiamo essere certi, Gesù continua a rischiare nello scegliere proprio noi uomini peccatori, a volte impermeabili alla grazia che sgorga attraverso le nostre mani. Gesù è fedele alle sue scelte, e per amore, giorno dopo giorno, ci invita a rinnovare il nostro desiderio di appartenenza a lui.
Gesù non teme il nostro peccato, come non ha avuto paura del tradimento di Pietro, e come ancora oggi non ha paura di essere toccato o ricevuto nelle nostre mani. Ciò che invece può fermare davvero l’azione di Gesù è l’aridità dei nostri fragili cuori, la stanchezza con la quale siamo a volte a contatto con l’Eucarestia.
Oggi, rinnovando le nostre promesse sacerdotali, rinnoviamo il nostro desiderio di vivere pienamente il nostro sacerdozio, a lasciar quella polvere che, anno dopo anno, si è attaccata ai nostri piedi, a volte stanchi di camminare per sentieri fatti certamente di tanta di gioia e passione, ma anche di incomprensioni e di povertà; di polvere che ha ricoperto anche i nostri cuori, allontanandoli dal Cuore di Cristo. Oggi come allora, Gesù è disponibile a lavare i nostri piedi, a perdonare i nostri peccati, le nostre infedeltà, le nostre povertà. Ci invita a rigenerarci attraverso il sacramento della Riconciliazione e ci ripete le stesse parole dette a Pietro: “se non ti fai lavare non avrai parte con me”.
Ringrazio Dio per tutti coloro che, nella nostra Chiesa locale, testimoniano il loro servizio con umiltà e dedizione. Che possiamo imparare da questi fratelli a non aver paura di diventare vulnerabili, per incontrare coloro tra noi che sono deboli e indifesi di fronte alla sofferenza umana. Che possiamo essere in grado di lavare loro i piedi, vincendo il nostro egoismo. In questo modo diventeremo veramente icone di Cristo, servo dell'umanità.Il vero servizio è spesso nascosto e passa inosservato dai mass media e dalle piattaforme social. È solo il risultato della totale donazione di sé agli altri. Per farlo, tuttavia, dobbiamo lasciare che Cristo ci serva e ci lavi i piedi. Se resistiamo, come fece inizialmente Pietro, non potremo mai capire cosa significhi essere discepoli.
Cari fratelli e sorelle, che questo Giovedì Santo sia per tutti noi, fedeli e clero, un invito a costruire la Chiesa di Cristo come comunità di amore, affinché, come abbiamo pregato all'inizio di questa celebrazione (colletta), “attingiamo pienezza di carità e di vita”, nella gloria della Croce di nostro Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale siamo salvati e liberati (Gal 6:14). Amen.
Gerusalemme, 1° aprile 2021
†Pierbattista Pizzaballa
Patriarca di Gerusalemme dei Latini