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Meditazione di S.B. Card. Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei latini: XXXI Domenica del Tempo Ordinario, anno A

Meditazione di S.B. Card. Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei latini: XXXI Domenica del Tempo Ordinario, anno A

XXXI Domenica del Tempo Ordinario A

Mt 23, 1-12

 

Il capitolo 23 del Vangelo di Matteo è un capitolo di passaggio: dopo le parabole e le controversie, in cui abbiamo visto Gesù dialogare con i capi religiosi del popolo, e dopo che questi dimostrano di non volersi aprire alla buona notizia del Regno, ora Gesù parla con la folla e con i suoi discepoli (Mt 23,1).

Gesù parla dunque con la gente, ma in questo discorso la mette in guardia proprio da quei capi con cui ha appena finito di dialogare: sono loro le guide del gregge, ma come potranno guidarlo se loro per primi si sono chiusi alla grazia e hanno opposto resistenza alla visita del Signore? Come potranno le persone accedere al Regno, se coloro che li guidano si ostinano a rimanere fuori?

Davvero il problema è serio.

Gesù usa parole molto dure nei confronti di questi capi religiosi, ma, in realtà, queste parole sono rivolte a tutti: il male che abita nel loro cuore è di casa anche nel nostro. Per questo bisogna sempre vigilare.

Il brano di oggi (Mt 23, 1-12) risponde a due domande.

La prima è questa: come si misura la grandezza di una persona?

I farisei sono persone importanti, con un ruolo pubblico, conoscono la Legge, compiono opere giuste, hanno i posti d’onore nei banchetti e tutti li chiamano “rabbi”.

È questa la vera grandezza?

Gesù dice di no.

La grandezza di una persona non si misura da quello che dice, ma neanche da quello che fa.

Può dire parole buone, può fare cose belle: ma, come nel caso di scribi e farisei, tutto ciò che fanno lo fanno per sé, per la propria gloria, per il proprio compiacimento.

Non è questa una vita grande.

Gesù dice che la vera grandezza è quella di chi sa mettersi al servizio degli altri, per cui una vita si misura dalla capacità di servire: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo” (Mt 23,11).

Ma chi è il servo?

Se i farisei sono coloro che legano pesanti fardelli sulle spalle della gente, ma loro non li muovono neppure con un dito (Mt 23,4), il servo è colui che fa esattamente il contrario, colui che si assume il peso degli altri, colui che lo porta su di sé. Il servo è colui che slega gli altri dal peso della vita, che se lo carica su di sé, che li aiuta a portarlo.

E chi può fare questo?

Direi che può fare questo chi non ha bisogno di apparire più di quanto già sa di essere: se siamo figli chiamati a lavorare nella vigna, se siamo invitati al banchetto delle nozze di un grande re, a poco ci serve aggiungere altro alla vita. Se non una cosa sola, che è appunto quella di amare, perché se ami, non hai più bisogno di essere ammirato. Amare basta per una vita bella.

E qui siamo alla seconda domanda: cosa ci libera dal bisogno di essere visti, ammirati, incensati?
Per Gesù, l’unica cosa che ci libera è proprio metterci al servizio degli altri, è vivere amando.

Non più legare sugli altri pesanti fardelli, ma legarci agli altri con un legame di fraternità: “voi siete tutti fratelli” (Mt 23, 8), tutti con uguale dignità davanti al Padre.

Solo così siamo persone libere dal pesante fardello di dover sempre apparire, di doverci guadagnare la vita a partire da una spasmodica ricerca di noi stessi: non è lo sguardo e l’approvazione degli altri che può darci vita, che può nutrire il nostro bisogno d’amore; non sono i ruoli o il potere a riempirci il cuore.

La vita vera comincia quando scendiamo dalla cattedra su cui a volte ci installiamo, e proviamo a stare nella vita come persone capaci si sporcarsi le mani e di farlo insieme a tutti gli altri, come tutti gli altri, alla scuola dell’unico Maestro, il cui giogo è soave e il cui peso è leggero (Mt 11,30).

+Pierbattista