Giornata internazionale dei migranti 2019
Giaffa, 21.9.2019
Domenica XXVI per annum, C (Am 6, 1.4-7; 1Tm 6, 11-16; Lc 16, 19-31)
Il vangelo di oggi dice molto della giornata che celebriamo e per la quale siamo qui riuniti per pregare e intercedere.
Ci sono due momenti, due scene. La prima parte è su questa terra: il ricco gioisce nella sua ricchezza, mentre il povero vive delle briciole che cadono dal suo tavolo. Il ricco non ha un nome, mentre il povero si chiama Lazzaro. Questi particolari nel Vangelo sono sempre importanti e indicativi.
La seconda parte del Vangelo si svolge nell’al di là. Lazzaro è in paradiso, mentre il ricco è nell’inferno. Per brevità ci fermiamo su questa scena.
Il Vangelo non dice che il ricco non abbia rispettato la legge, che abbia infranto i comandamenti, che abbia fatto del male a qualcuno. Dice semplicemente che ogni giorno banchettava lautamente e che era vestito in modo sontuoso e raffinato.
Dove si vive così, alla porta, sicuramente, c’è anche un povero che patisce.
Il povero sta alla porta, ma il ricco non lo vede: il verbo “vedere” compare solo nella seconda parte della parabola, nell’aldilà, mentre sulla terra, durante la sua vita il ricco non è andato al di là della porta di casa sua, non è andato oltre il suo star bene, la sua sazietà. Non è andato oltre il perimetro dei suoi interessi, delle sue cose, per cui la sua vita (“ogni giorno” v. 19) era tutta dentro questo piccolo mondo fatto di piaceri, di sazietà, di soddisfacimento di bisogni: non esisteva nient’altro.
Il ricco ha scambiato la gioia con il piacere, con il soddisfacimento dei suoi bisogni; si è accontentato. Il suo peccato non è stato l’infrangere una legge, ma il non essere stato all’altezza di una gioia diversa, quella per cui siamo creati, che è la gioia della comunione. Non ha saputo vedere Lazzaro alla sua porta. Ma com’era possibile non vederlo se stava alla sua porta? Viene in mente la citazione di Ezechiele: «Figlio dell’uomo, tu abiti in mezzo a una genìa di ribelli, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono …» (12,2). Il ricco non lo vedeva, perché si rifiutava. Non voleva cogliere la realtà che era di fronte a lui. Lui bastava a se stesso.
Non ha capito che la vita può essere piena non quando il ventre (cioè ogni bisogno, ogni istinto) è pieno, ma quando partecipiamo, tutti insieme, da fratelli, ad una pienezza che è per tutti.
Gesù vuol dirci che una vita così è già un inferno, per cui dopo la morte non troveremo altro se non quello che già abbiamo iniziato a vivere sulla terra: e infatti, nella seconda parte della parabola, di nuovo i due si trovano in una situazione di lontananza, di relazione mancata. Solo che questa situazione è definitiva.
La ricchezza è un problema quando chiude, quando diventa un assoluto e impedisce di sentirci parte di un tutto, di sentirti tralcio di una vite.
La parabola si conclude con il dialogo tra il ricco e il padre Abramo.
Una conclusione che un po’ ci sorprende, perché non riporta un invito alla conversione, ad aver cura dei poveri: no, dice solo che la strada della vita eterna e della gioia è quella dell’ascolto delle Scritture.
Perché ascoltare è proprio dei poveri, di chi lascia dentro di sé spazio all’altro.
Ascoltare non è un gesto, un’azione, ma uno stile di vita, lo stile di una vita vissuta aperti alla relazione.
Ecco tutto questo dice molto dello stile di vita che ci è richiesto ancora oggi.
Assistiamo in tutto il mondo ad un gran discutere sulla questione dei migranti, delle migrazioni di intere popolazioni e ascoltiamo tante teorie a favore o contro questo o quello, su come questo fenomeno si evolverà, sulle paure che suscita. Abbiamo ascoltato e ascolteremo sul rapporto tra migrazioni, identità, religioni, culture e sulle paure dei cambiamenti. Forse tutto questo è necessario e avrà certamente la sua utilità.
Ma il Vangelo non entra nel merito di queste discussioni. Non è una teoria accademica.
Ci dice semplicemente che il Lazzaro di ogni tempo, che vive alla nostra porta e che ha solo briciole per vivere, non può essere non visto. Non possiamo ignorarlo, rifiutarlo. Le teorie sul fenomeno delle migrazioni e le altre sicurezze su cui poggiamo le nostre decisioni non possono giustificare il rifiuto a riconoscere il Lazzaro di oggi.
Noi siamo Chiesa, cioè comunità di credenti in Cristo che ha fatto del Vangelo la propria regola di vita. Se Lazzaro bussa alla nostra porta, non possiamo non ascoltarlo. Ce lo comanda il Vangelo.
Mettersi in ascolto, significa accogliere, fare proprie le situazioni e le attese dell’altro.
In questo momento, alla conclusione di questa difficile estate, non posso non pensare alle nostre situazioni locali, ai nostri Lazzari di questa terra.
Penso alla questione delle espulsioni che questa estate ha coinvolto molti nuclei familiari. Bambini e giovani, nati e cresciuti qui e che, dopo anni, sono costretti a partire per una patria che non hanno mai conosciuto.
Penso ai tanti che vivono in mezzo a noi senza alcuna garanzia legale, esposti in qualsiasi momento alla partenza, senza mezzi e senza possibilità di procurarseli, costretti come il Lazzaro del Vangelo a vivere delle briciole.
Penso a chi vive in condizioni lavorative umilianti. Ma soprattutto ai tanti bambini che non hanno la possibilità di vivere come una famiglia qualsiasi, con padre e madre vicini, una casa e un contesto di vita sereno; costretti a dividersi per mancanza di mezzi, sempre in movimento e con la paura di dover partire all’improvviso.
Ma questa è anche l’occasione per ringraziare i tanti che dentro la società israeliana si attivano per aiutare e sostenere in queste situazioni i diritti di Lazzaro e quanti lo ricevono in casa propria per lavorare, lo rispettano e accolgono degnamente.
E ringrazio infine il Vicariato per i migranti, padre Rafic Nahra e tutto lo staff, religiosi e laici, che quotidianamente si impegna per essere la voce della Chiesa in questo ambito pastorale e per ricordare a tutta la Chiesa di Terra Santa il suo dovere di farsi, qui e ora, voce libera e serena del Vangelo di Lazzaro.
+Pizzaballa