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Mons. Pizzaballa: "Dobbiamo essere preparati ai casi di abusi sessuali per poter reagire in modo appropriato"

GERMANIA – L’11 febbraio, Mons. Pierbattista Pizzaballa è stato intervistato da DOMRADIO.DE, in Germania, per parlare del prossimo Vertice sulla Tutela dei Minori che si terrà a Roma dal 21 al 24 febbraio 2019, nonché della situazione dei cristiani in Terra Santa e delle sue impressioni sulla recente visita di Papa Francesco ad Abu Dhabi.

1) La prossima settimana i capi delle Conferenze episcopali di tutto il mondo si incontreranno in Vaticano per consultarsi in merito allo scandalo degli abusi sessuali da parte del clero. Lei si recherà a Roma come vicepresidente della Conferenza dei vescovi latini delle regioni arabe. Cosa ne pensa di questo incontro?

Mons. Pizzaballa: Penso che le aspettative siano troppo alte. Un tale incontro non può concludersi con risultati concreti e specifici. Inoltre, i problemi e le dinamiche dei paesi occidentali differiscono da quelli del Medio Oriente, dell’Africa o dell’Asia. In Medio Oriente, ad esempio, non abbiamo davvero nelle nostre chiese questo specifico problema degli abusi sui minori. In questi casi, il diritto penale prevede la pena di morte, mentre il diritto tribale può essere ancora più severo. Quindi, bisogna sempre considerare le diverse dinamiche locali.

2) Quale risultato si aspetta per l’incontro?

Mons. Pizzaballa: Mi aspetto idee chiare su come procedere per affrontare la questione. Poi, le Conferenze episcopali nelle loro regioni dovranno adottare loro proprie leggi a seconda della situazione specifica.

3) In che misura gli abusi sui minori sono effettivamente presenti in Medio Oriente?

Mons. Pizzaballa: Sono stato Custode e sono stato responsabile di Terra Santa per dodici anni, ora da due anni e mezzo sono vescovo. Non ho mai incontrato un caso di abusi su minori in questo periodo di tempo. Forse non abbiamo questo problema specifico, ma ci sono molte scuole e istituzioni dove occorre intervenire per evitare il ripetersi di simili casi in futuro. Il fatto di non aver sentito nulla non significa che non esistano fatti del genere nel nostro paese. Sono certo che esistono, e dobbiamo essere preparati per reagire in modo adeguato.

4) Guardiamo alla situazione generale dei cristiani in Terra Santa. In quale situazione si trovano in linea di massima?

Mons. Pizzaballa: Dal punto di vista dei numeri, siamo una minoranza. Può essere vero, ma in Medio Oriente la minoranza è associata ad avere meno diritti. Vogliamo essere cittadini con pari diritti. In realtà, siamo circa l’1 per cento della popolazione di Israele e dei territori palestinesi. A seconda della regione, i nostri problemi sono molto diversi: in Israele, la questione principale riguarda i nostri diritti come comunità cristiana. Nei territori palestinesi ci sono più problemi economici, sociali e politici. Non abbiamo alcun problema con le autorità, ma le cose sono cambiano nella vita quotidiana. Dato che non facciamo parte delle più grandi comunità ebraiche e musulmane, è più difficile per noi ottenere le stesse opportunità.

5) I cristiani in Terra Santa sono liberi di vivere la loro fede? Ci sono sempre attacchi…

Arch. Pizzaballa: Siamo liberi di esprimerci. C’è libertà di culto, che non è libertà di religione. La nostra situazione in Terra Santa è diversa da quella, ad esempio, dei cristiani in Egitto o quella in Siria o in Iraq. Il numero dei cristiani sta diminuendo, lentamente ma costantemente.

6) Qual è il problema maggiore per i cristiani in Terra Santa?

Mons. Pizzaballa: Come cristiani, non siamo una terza popolazione. Gli arabi cristiani, per esempio, sono palestinesi. Quelli che vivono in Israele hanno il problema di essere visti come cittadini uguali (rispetto agli israeliani, ndr), cosi come tutti gli altri palestinesi (in Cisgiordania rispetto ai cittadini musulmani, ndr). Nei territori palestinesi si trovano ad affrontare problemi politici dovuti al conflitto israelo-palestinese, alla mancanza di opportunità e alla disoccupazione.

7) Che ruolo svolgono i cattolici in Terra Santa?

Mons. Pizzaballa: Un ruolo importante. Certo, la storia dei cristiani in Terra Santa e anche in Europa è stata una storia di conflitti tra le diverse confessioni. Ma alla fine, questi furono conflitti di potere, non di fede. Le grandi tensioni oggi sono più all’interno della Chiesa ortodossa, non tra i cattolici. Come cattolici, il nostro compito è quello di coltivare e migliorare i rapporti con le altre Chiese. Devo dire che le relazioni sono notevolmente migliorate nell’ultimo decennio, soprattutto dopo la guerra in Siria. Penso che sia piuttosto ridicolo e antiquato, per esempio, discutere di luoghi, tempi di preghiera e Status Quo qui, mentre i cristiani vengono uccisi in Siria o in Iraq per il semplice fatto di indossare una croce.

8) Qual è secondo lei il significato della visita del Papa ad Abu Dhabi?

Mons. Pizzaballa: Questa visita è stata molto importante. Mentre per noi cattolici è una delle tante visite del Papa, in Medio Oriente è considerata qualcosa di storico perché si è svolta vicino al cuore del mondo islamico. I musulmani considerano il Papa una persona molto importante per i cristiani, quindi il fatto che vi si sia recato e abbia parlato della necessità della fraternità umana ha avuto un impatto molto forte sull’intera società islamica e sulla mentalità della gente in Medio Oriente. Inoltre, la dichiarazione che ha firmato con l’imam di Al-Azhar è stata molto importante perché quest’ultimo rappresenta un’autorità molto influente nel mondo islamico. Penso che questa visita sia stata estremamente necessaria e che abbia cambiato radicalmente i rapporti tra cristiani e musulmani.

9) C’è qualcosa che le è rimasto impresso?

Mons. Pizzaballa: Due momenti importanti. il primo è stato l’abbraccio tra il Papa e l’Imam di Al-Azhar in quel luogo. Tutte le persone in Medio Oriente erano attaccate ai loro televisori e ai loro smartphone per assistere a quel momento che nessuno si aspettava potesse accadere. Il secondo è stata la Messa allo stadio, che è stata la prima Messa pubblica celebrata da un Papa negli Emirati Arabi Uniti, davanti a 140.000 persone. È un riconoscimento pubblico della presenza dei cristiani nella Penisola araba. Ho visto persone di tutti i riti e di tutte le lingue riunite, felici di esprimere apertamente la loro fede. È stato commovente vedere uomini e donne musulmani portare acqua alle persone e aiutarle a vivere una celebrazione stupenda.

Un’intervista condotta da Renardo Schlegelmilch